giovedì 2 agosto 2012

Il fascino dello scrittore


Creare – artisticamente parlando – sembra una necessità dell’uomo.
Leggevo qualche giorno fa un pezzo sulla pagina culturale della Stampa, nel quale ci si domandava perché tra tante arti e discipline come la danza, la pittura, il teatro e al musica, quasi tutti vogliano diventare scrittori per soddisfare questo ancestrale bisogno.
La risposta era abbastanza semplice: la scrittura è alla portata di tutti, visto che chiunque può mettere alcune lettere in successione, mentre per dipingere o comporre una melodia ci vogliono più impegno, fatica e conoscenza. La scrittura, insomma, è qualcosa che tutti sentono di padroneggiare.
Io penso che oltre a questo valido motivo ci sia anche un’altra ragione, ovvero l’idea stereotipata della vita interessante e avventurosa dello scrittore. Sono in molti a credere che fare lo scrittore di professione sia fantastico perché non hai né orari né capi a cui dover dare conto. Scrivere è, nell’immaginario comune, un’attività che non richiede costanza o disciplina (basta cavalcare l’ispirazione, quando arriva) e che un romanzo di duecentocinquanta cartelle lo si scrive così, senza pensarci troppo, tra una lunga vacanza e l’altra.
Scrivere – lo sappiamo bene – richiede ricerca, progettualità, riflessione: è un processo di tentativo ed errore che va provato e riprovato, perché nessuno scrive romanzi o saggi direttamente in bella copia. Il problema e che sono in molti a credere di poterlo fare e, quando non c’è un editore che li ascolta, si lamentano del tempo che stanno perdendo perché sarebbe già ora di trovarsi nei salotti televisivi, sulla terza pagina del Corriere o ai tropici con il primo assegno frutto dei diritti d’autore.
Scrivere, dunque, richiede disciplina, come Moravia che scriveva in orari fissi da ufficio, Lucarelli che lavora solo di pomeriggio, Camilleri che si mette alla scrivania tutte le mattine alla stessa ora e Salgari , che dalla scrivania non si schiodava finché non aveva raggiunto il numero di pagine giornaliere prestabilito.
E poi? Cos’altro è uno scrittore?
Essere scrittore vuol dire essere per definizione interessanti e godere di una fama vasta seppur non intrusiva, perché lo scrittore può passeggiare per le vie del centro senza essere assalito dagli adulatori come acadrebbe per una rock star e senza rinunciare a una buona parte della propria privacy che altre persone famose possono solo sognarsi. E poi uno scrittore è anche un avventuriero, un tipo tosto che tira tardi bevendo whisky nei locali più malfamati, circondato e apprezzato da tipi poco raccomandabili, le cui caratteristiche vengono minuziosamente riprodotte e incarnate dai personaggi dei suoi libri. Ma è anche uno che frequenta eventi e cerimonie di gala, tra champagne, caviale e belle donne che, innanzi a lui, hanno voglia di liberarsi dei loro Armani dalla scollatura generosa e dalla schiena scoperta.
Infine lo scrittore è un intellettuale che rappresenta il punto di riferimento per molti, una bussola che guida l’opinione della gente, un termometro che misura le emozioni della folla, un incantatore che ottiene tutto quello che vuole con la magia della parola.
Lo scrittore viaggia, conosce, ricerca, participa ai salotti, tiene rubriche sui giornali, concede interviste, critica, osserva, ammonisce, recensisce, profetizza, ipotizza, risolve, dibatte, controbatte, lotta, vive, muore ma rinasce, si diverte, beve fino alla feccia, si prodiga, si rintana, riflette, ama, soffre, spezza i cuori, conquista, ha successo in amore.
Davanti a tante minuzia di dettagli, solo una domanda sullo scrittore resta senza risposta: quando trova, secondo l’immaginario comune, il tempo di scrivere?

venerdì 18 maggio 2012

Paper, tesi, tesine: la giusta ricetta per un promiscuo rapporto tra scrittura e università


Diciamocelo pure: gli insegnanti sono costretti a leggere un’enorme quantità di pagine scritte dagli studenti, e non sempre il contenuto è piacevolissimo.
Quando studiavo all’università ho dovuto scrivere innumerevoli tesine (o paper, come venivano chiamati per darsi un tono più interessante e scientifico) riguardanti materie che spaziavano dal primo al quinto anno; ho dovuto frequentare, poi, un paio di laboratori di scrittura, tra cui quella giornalistica, e infine ho scritto una tesi di oltre centocinquanta pagine. Più tardi ho scoperto che i paper non erano una pratica comune nel mondo accademico italiano. A quanto pare erano i miei professori illuminati dal contatto con realtà internazionali che ci allenavano alla scrittura con quello stratagemma del lavoro extra (sì perché gli esami, sia orali che scritti, si dovevano fare comunque).
Non so come vadano adesso le cose in Italia, ma presumo che siano peggiorate, perché le facoltà sono sempre più affollate, il personale docente si tiene al minimo e sembra impossibile leggere migliaia di tesine tra la fine delle lezioni e i primi appelli d’esame. In più, per la laurea di primo livello non è più richiesta quella consistente lunghezza che Umberto Eco stimava tra le 100 e le 400 pagine nel suo saggio Come si fa una tesi di laurea.
In Olanda devo leggere settimanalmente una quantità di papers, essays, reports, e theses che da soli basterebbero ad alterare il tasso alcolemico di un elefante. Gli studenti riflettono producono, scrivono (purtroppo non sempre in quest’ordine) senza sosta e sono insaziabili: vogliono sapere cosa ne pensi, come possono migliorare, come si può intavolare una discussione su quello che hanno scritto. Gli effetti variano tra il narcotizzante all’alterazione psicofisica simile a quella causata dai cannabinoidi.
Ad ogni modo, sarà davvero pesante per i professori, eppure esercitare la scrittura con regolarità è l’unico modo per raggiungere una perfetta padronanza della lingua scritta, che è poi ciò che fa la differenza in molti lavori, soprattutto nel campo della comunicazione.
Impossibile produrre un testo (di qualuque genere) senza una pratica costante.

Scrivere, scrivere, scrivere... senza moderazione. Questa è la via da seguire all’università per futuri laureati pronti a competere adeguatamente. La povera controparte dovrà dunque leggere, leggere e leggere senza sosta. Si perdonerà, dunque, se alcuni docenti hanno sviluppano una capacità di “lettura automatica” per preservare la propria vista e non essere costretti cambiare gli occhiali da lettura due volte l’anno. Questa capacità consiste nello scorrere il testo con lo sguardo a caccia di parole chiave che, una volta stanate, fanno inconsciamente soffermare sulla frase che le contiene per una frazione infinitesimale di secondo. Maggiore l’esperienza, maggiore la velocità con cui si trovano queste parole chiave.
Di solito il professore la fa sempre franca con lo studente anche se si tratta di discutere a fondo un testo “scansionato” in siffatto modo. Esiste, tuttavia, un modo per verificare se tale lettura sia stata applicata o meno: basta inserire una ricetta da cucina nella tesina e confonderla tra paragrafi di sociologia e riflessioni sulla letteratura scientifica. Di solito, trecento grammi di farina non sono degni di diventare una parola chiave.
Di una cosa, però, vorrei avvisare lo studente: che non pensi che sia uno solo il professore a praticare questo tipo di lettura, visto che c’è chi giura di aver inserito la stessa ricetta per anni in tutte le tesine senza essere mai stato accusato di monotonia e  ripetitività.

domenica 22 aprile 2012

Scrivere per il web


Quante volte vi sarà capitato di pubblicare qualcosa su internet? Un commento, un post su un forum, una nuova pagina di un blog, una nota su Facebook, un annuncio, una lettera di reclamo su un modulo online...
Incrociare scrittura e web è facilissimo, e accade sempre più frequentemente. Dobbiamo tuttavia distinguere una tipologia professionale di scrittura per il web, in quanto non tutti gli scritti che finiscono in rete hanno la stessa finalità o lo stesso valore. Senza avere alcun intento di essere esaustivi, vediamo quali sono le principali attività di scrittura digitale, cercando di dare qualche consiglio per affrontarle al meglio.

Blog: inutile stare a ripetere ancora una volta che il termine blog è la contrazione di due parole inglesi (web log) che significano “diario sul web”. Il contenuto di questo vero e proprio genere letterario è ordinato anticronologicamente (dal più recente al più vecchio) e presenta dei post che andrebbero integrati con altri strumenti del web 2.0 come per esempio clip prese da Youtube, immagini caricate su Flickr, link a pagine di Wikipedia e così via. Per avere successo, l’argomento del blog deve essere omogeneo e l’autore altamente specializzato in materia. I post devono essere offerti con regolarità e gli eventuali commenti vanno moderati. Le possibilità di guadagno sono effettive qualora si usino programmi di affiliation marketing o di pubblicità come Google AdSense. Esistono innumerevoli piattaforme gratuite per cominciare a bloggare, ma spesso si hanno delle restizioni nell’inserimento della propria pubblicità.

SEO: si tratta niente di meno che di “Search Engine Optimization”, ovvero ottimizzazione per motori di ricerca. Per un certo periodo ho lavorato nel settore del marketing online per un’azienda che vendeva servizi su internet e, da country manager per l’Italia, ero responsabile per il miglioramento (ottimizzazione) del contenuto delle pagine web affinché queste ultime venissero indicizzate ai primi posti su Google quando gli utenti digitavano alcune parole chiave. Bisogna sapere che solo una parte dei risultati di Google è sponsorizzata (cioè pagata dalle aziende che cercano pubblicità, e questo viene chiaramente sottolineato), ma tutto il resto è “organico”, ovvero i risultati sono il naturale prodotto di un algoritmo misterioso che può essere a volte influenzato da alcune qualità presenti nel testo. Ecco allora che il copywriter addetto al SEO deve attenersi a certe caratteristiche per migliorare un testo esistente, oppure crearne uno di sana pianta, al fine di far apparire la propria azienda tra i primi risultati dei vari motori di ricerca, con il conseguente aumento della possibilità di vendere più prodotti, o migliorare la propria visibilità, gratuitamente.
Malgrado possa sembrare un’attività oscura e segreta, non è affatto così: Google pubblica e aggiorna regolarmente le linee guida per webmaster-scrittori che vogliono ottimizzare i loro siti web. Basta cercarle online.

Articoli per webzine e altri giornali: collaborare con delle riviste può sembrare l’attività più naturale per uno scrittore in cerca di veder pubblicata la propria firma. In questo caso, la preparazione riguardo l’argomento da trattare è comunque imprescindibile, ma la fase cruciale, a dispetto di quanto comunemente si possa credere, non è la stesura dell’articolo, bensì la proposta. Per avere successo come scrittore per riviste online bisogna dedicare una grande attenzione al modo in cui si approccia la redazione, proponendo idee fresche e originali senza troppo soffermarsi sulle esperienze professionali e sull’istruzione. Per scrivere non conta chi sei e cosa fai ma cosa scrivi e come lo scrivi.

Per approfondire l'argomento, potete consultare questa guida al web marketing con gli strumenti di Google.

domenica 15 aprile 2012

Scrivere per il cinema

Di solito chi ama la scrittura sogna di diventare romanziere. I più velleitari, e spesso ingenui, puntano alla poesia, ma evidentemente non ci si discosta più di tanto dalla carta stampata. Qualcuno con la testa sulle spalle aspira a diventare giornalista, magari avendo in mente i romantici resoconti degli inviati che scrivono dai posti più esotici e avventurosi del globo, per poi rendersi conto che il giornalismo è una dura professione che si impara sulla strada a forza di snervanti attese, inconcludenti buchi nell'acqua e amare delusioni.

Lo stereotipo dello scrittore armato di penna e calamaio, Olivetti lettera 22 o, più recentemente, computer e iPad, col sogno di essere esposto nella vetrina della Feltrinelli dedicata alla top 10, è intramontabile.

Questo è un vero peccato, specialmente in una fase semiologica dominata dal predominio delle immagini e dei suoni sulla parola scritta. I romanzi cosiddetti best seller, con centinaia di migliaia di copie vendute, possono raggiungere svariati milioni di persone quando vengono trasposti in versione cinematografica.

I miei studenti, malgrado i libri che devono leggere per passare gli esami e qualche romanzo più alla moda (soprattutto gialli scandinavi), sono avidi consumatori di serie televisive. Alcuni di loro si misurano addirittura in questa appassionante arte, ottenendo discreti successi con la macchina da presa. La maggior parte delle volte condividono i loro lavori su Vimeo o anche su Facebook, ricevendo dei meritati commenti in favore dei loro prodotti.

Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il cinema, la tv e il più recente webcast si basano su un lavoro preliminare di scrittura. Quella che è inizialmente una semplice idea (il soggetto) deve essere elaborato attraverso varie fasi (sceneggiatura, suddivisione in scene, dialoghi, scaletta, copione, etc.) prima di essere filmato.

Oggi esistono numerosi programmi - molti dei quali gratuiti, come Page 2Stage - che assistono lo scrittore nella creazione del copione. Ovviamente bisogna familiarizzare con regole e consuetudini del linguaggio cinematografico, ma di tutorial la rete è piena (il nome del personaggio va centrato e in maiuscoletto, i dialoghi sono centrati ma i margini sono più ampi, e cosi via).

Attualmente esistono numerosi buoni motivi per scrivere un film piuttosto che un romanzo: l'autore è pagato per il proprio lavoro indipendentemente dal numero di spettatori, mentre i guadagni del romanziere sono legati al numero di copie vendute (generalmente solo il 5-15% del prezzo di copertina spetta all'autore); inoltre non è necessario intraprendere alcun faticoso tour di librerie e presentazioni, visto che il produttore del film si prende cura della promozione del prodotto; infine, il mercato per il piccolo e grande schermo è più vasto e fiorente di quello editoriale, con la semplice conseguenza che si guadagna bene.

venerdì 13 aprile 2012

Scrivere per ordinare le idee


Spesso mi trovo a discutere con i miei studenti un problema da approfondire in metodologia della ricerca. Ricercare vuol dire scoprire qualcosa di nuovo, oppure affrontare un argomento conosciuto da un punto di vista nuovo, originale. Di certo non si tratta di raccogliere dei dati a caso senza sapere minimamente dove andare a parare.
In linea di massima, sono a favore di una libera scelta dello studente per quanto riguarda l’argomento, purché esso sia circoscritto con serie domande e venga sviluppato con coerenza.
Il problema, a quel punto, è mettere a posto le idee, selezionarle, rifinirle, trasformarle in “problemi” teorici nell’ambito della comunicazione e dei media. Poter esempio, si potrebbe analizzare la serie televisiva degli anni ’90 di Beverly Hills e il suo più recente spin off 90210 per vedere come in vent’anni sia cambiata la rappresentazione di certi gruppi sociali (come extracomunitari, studenti, genitori, professori, etc.) nei prodotti mediatici dedicati ai più giovani; oppure si potrebbero analizzare  le occorrenze del cosiddetto fenomeno di “product placement” (una specie di pubblicità occulta che avviene quando un marchio viene deliberatamente mostrato in un film) e cercare di capire il rapporti commerciali tra il produttore e lo sponsor...

Tutte queste possono essere delle idee valide, ma spesso, dopo averle pronunciate, ci si sente bloccati e non si sa da dove cominciare.
Ecco allora che viene in nostro soccorso la scrittura.
La scrittura, infatti, non è soltanto un modo per mostrare il prodotto finale del nostro ingegno, ma è soprattutto uno strumento potentissimo per ordinare i pensieri.
La parola scritta richiede un sforzo di selezione più alto rispetto a quella parlata, poiché è necessaria un’attività fisica più impegnativa. Mettere nero su bianco non è tanto facile quanto far vibrare le corde vocali. Se il flusso inarrestabile della nostra fantasia può trovare sfogo nella chiacchiera estemporanea, solo la scrittura può mettere ordine ai nostri pensieri e rivelarne grandezze e contraddizioni, fattibilità e debolezze.
Se i miei studenti hanno una o mille idee, poco importa: chiedo loro di condensarle in una frase o in un paragrafo, sempre pronti a essere limati e aggiustati. Ma quel primo passo compiuto attraverso la scrittura è sempre fonte di preziosa consapevolezza.

domenica 1 aprile 2012

Il futuro del romanzo


Qual è il futuro del romanzo? Parafrasando il titolo di un saggio un po' datato di Umberto Eco, al momento si distinguono due scenari principali: quello degli apocalittici e quello degli integrati. Il primo riguarda i fanatici della tecnologia, quelli che pensano che il libro cartaceo sparirà completamente
per lasciare il posto agli ebook o qualunque altra forma di  scrittura/lettura digitale; del secondo scenario, invece, fanno parte i romantici della lettura, quelli che pensano che la versione cartacea non potrà mai sparire perché il fruscio delle pagine, i margini scarabocchiati e i segnalibri in pelle sono insostituibili.
La verità, probabilmente, sta in mezzo a queste due opposte e inconciliabili posizioni.
Lasciamo per adesso perdere i saggi e le pubblicazioni periodiche (sia scientifiche che non) e focalizziamo la nostra attenzione sul romanzo. Cosa sta succedendo da un po' sui tempo a questa parte? Alcuni scrittori sentono l'esigenza di "riscrivere" delle opere importanti, sia proprie che altrui. È il caso di Baricco, che ripropone un testo omerico, oppure dello stesso Eco, che non solo si cimenta com la riscrittura dei Promessi Sposi, ma addirittura rimaneggia il suo celebre "Il nome della rosa" dopo oltre trent'anni dalla prima edizione.
In tutti questi casi il motivo della riscrittura è pressoché evidente: snellire il testo, togliere il superfluo, aggiornare la forma per rendere la storia più accessibile a un pubblico moderno.
Tanto vale, allora, soffermarsi sulle esigenze di questo pubblico moderno per capire semmai sia possibile tracciare qualche plausibile percorso futuro del genere “romanzo”.
Il pubblico di oggi è abituato all'idea di movimento e dinamicità. Legge di tutto, ma frettolosamente. Si concentra con alta intensità su qualcosa, ma per un tempo breve. Per questo ama i testi compatti, concisi, altamente informativi, schematici e privi di fronzoli. Il lettore di oggi su lascia distrarre facilmente: basta dargli un link seducente ed è disposto ad abbandonare la pagina per intraprendere nuove letture. Infine, quello odierno è un pubblico educato alla multimedialità e al multitasking, visto che è in grado di ricevere diversi stimoli sensoriali simultaneamente e di eseguire più di un'operazione per volta: per esempio, segue un programma televisivo e commenta su twitter in tempo reale, oppure ascolta musica, scrive una lettera, controlla dei concetti su Wikipedia e dà un'occhiata alla posta elettronica.
Considerato tutto questo, come possiamo immaginare il romanzo del futuro? Da apocalittici o da integrati?
Io credo che le due realtà coesisteranno. Continueranno ad esserci romanzi complessi, la cui lettura sarà piacevole solo attraverso il contratto fisico con un fascio di fogli ben rilegato, la cui ruvidezza deve essere assaporata col tatto mentre voltiamo pagina lentamente, mentre ci godiamo questa piccola conquista di lento incedere verso la conclusione. E poi ci saranno anche i romanzi "snelli", di facile lettura su supporti elettronici, possibilmente dotati di riferimenti extratestuali e/o multimediali. Esisteranno, insomma, romanzi appositamente scritti per lo stile apocalittico e altri conformi a quello integrato, con la possibilità di offrire due diverse edizioni a seconda del tipo di lettore. Magari verrà fuori anche una nuova figura di editor, a cui sarà demandata la "traduzione" o, meglio  ancora, l'adattamento di un romanzo da uno stile all'altro... Ma questa è tutta un'altra storia.