giovedì 29 dicembre 2016

Storytelling: da Torino a Siracusa, inseguendo l'amore di Maddalena


Devo ammetterlo: negli ultimi mesi non ho trovato il tempo di seguire assiduamente Pascal, la mia trasmissione radio preferita condotta da Matteo Caccia e alla quale collabora il vecchio amico di università Tiziano Bonini.
Pascal è senza dubbio il miglior esempio di storytelling radiofonico italiano. Il ritmo; la cura con cui vengono selezionate, adattate e narrate le storie; l'interazione con la comunità che segue in diretta, attraverso i social media o scaricando gratuitamente il podcast; la scelta sapiente di Tiziano nell'individuare i brani musicali che si adattano di volta in volta alla storia... tutto fa di questo programma un momento di ascolto appassionante.
Dicevo di aver saltato un po' di puntate. Ebbene, durante queste vacanze di Natale ne ho approfittato per mettermi al passo con le storie, cercando di recuperare il tempo perduto. Solo così mi sono reso conto che da un paio di mesi Pascal mette in onda un'appendice settimanale intitolata "Diario di Maddalena". Malgrado il programma non ospiti fiction, ho forti sospetti che la storia sia una finzione letteraria contornata da un'aura di realismo. Maddalena, la protagonista e io narrante, comincia a raccontare i fatti accaduti a Torino nell'autunno del 1977, ma l'ambientazione si sposta immediatamente a Siracusa. Non so come le vicissitudini della protagonista si svilupperanno nelle prossime puntate, ma già l'inizio è molto promettente. Siracusa è la città della mia infanzia, dove ho vissuto fino ai diciotto anni. Vederla adesso con uno sguardo esterno, che prova a fotografarla nel periodo in cui sono nato, mi incuriosisce e mi commuove. Ci sono Ortigia, Fontane Bianche, il mare, gli spaghetti alle vongole, il sole e la spiaggia a novembre, i pregiudizi di una provincia del sud arretrata, l'istituto magistrale Quintiliano, i sogni di tanti giovani che escono da scuola al suono di una campanella. Già questo basterebbe a farmi piacere una storia simile. Ma se proprio devo dirla tutta, ciò che mi affascina è ancora una volta l'opposizione tra Nord e Sud. Una contrapposizione ancora più originale, se penso che la Sicilia, dal dopoguerra, e al contrario di quanto sogna Maddalena, è sempre stato un punto di partenza verso il Nord, o un semplice punto di passaggio verso il Settentrione, come oggi accade per i migranti e i profughi.

giovedì 22 dicembre 2016

The Little Flames - The Day Is Not Today (recensione)



The Day is not Today
Prima che arrivasse il successo con The Rascals e The Last Shadow Puppets, per alcuni anni, tra il 2004 e il 2007, Miles Kane è stato il chitarrista della band inglese The Little Flames. Nel 2006, il gruppo riesce a mettere insieme un album intitolato “The Day Is Not Today”, prodotto da Deltasonic e mai ufficialmente commercializzato fino a marzo 2016. Certo, al tempo esisteva già una demo, che tra l’altro circolava tra gli appassionati con il file sharing, ma niente di tangibile aveva mai raggiunto la distribuzione. Probabilmente a causa di dissidi interni o per mancanza di accordi, l’album rimane così in sospeso per dieci lunghi anni, un periodo che sembra un’eternità nell’evoluzione di certe tendenze musicali , ma che tutto sommato non riesce a rendere il primo e unico disco dei The Little Flames antiquato rispetto alle sonorità che ci si potrebbe aspettare da un gruppo indie di oggi.  Si tratta di dodici tracce dai ritmi tipicamente garage rock, con qualche raro accenno al più veloce punk (That Brat’s a Fiend) o alla ballata classica, fatta di arpeggi cadenzati in tempo composto (The Girl of Last Year).
La distorsione della chitarra elettrica è sempre moderata e i riff – mai troppo banali – esaltano la voce di Eva Petersen, lead vocalist dalla spiccata generosità nei toni medio-bassi e dagli acuti dolci ma precisi, che fanno vagamente pensare a Juanita Stein.
L’album, nel suo complesso, è gradevole e abbastanza omogeneo, non solo per le tematiche affrontate, che abbracciano principalmente i sentimenti e le storie complicate, ma anche per le sonorità che raccoglie. Non ci sorprende, dunque, che tra i fan della band ci sia stato anche qualcuno dai gusti indiscutibilmente raffinati come Alex Turner, che proprio dei The Little Flames sceglie Put Your Dukes Up John per inserirla come B-side in uno dei singoli degli Arctic Monkeys.
Riconoscimenti a parte, Isobella e If Tomorrow Never Comes sembrano le tracce più incisive e incanzanti, a tratti addirittura epiche nell’atmosfera; appena più melodiche sono invece The Day Is Not Today (clicca il link per ascoltarlo su YouTube) che dà il titolo all’album, October Skies ma anche Close My Eyes.
Purtroppo non ci sono altri lavori del gruppo che permettano di tracciarne un direzione evolutiva, eppure come album d’esordio è stato un lavoro davvero promettente, perfino ascoltandolo un decennio dopo il suo concepimento. Difficile credere che la pubblicazione dell’album sia un semplice cedimento alla nostalgia. Che sia piuttosto un tentativo di misurare il gradimento generale prima di accarezzare l’idea di una reunion?

Gruppo: The Little Flames
Album: The Day Is Not Today
Etichetta: Deltasonic
Anno: 2016 [2006]

Voto: 6.5

venerdì 16 dicembre 2016

Gli allori del ministro (e dei giornalisti)



La saggezza popolare ci spiega che i parrucchieri vanno in giro spettinati e i calzolai hanno la suola delle scarpe bucata. Perché mai ci si dovrebbe meravigliare, allora, di fronte a un ministro con la licenza media e appena tre anni di scuole magistrali?
In molti dicono che non è la laurea a fare la differenza. Eminenti personalità del mondo della cultura non ce l'hanno. D’Annunzio non si è mai laureato, eppure lo si studia a scuola. Lo stesso vale per molti scrittori e poeti. La lista sarebbe troppo lunga, e di solito la conoscono a memoria quelli che hanno abbandonato l'università o non ci sono mai arrivati. L'obiezione principale alla figura del laureato è spesso incentrata sull'incapacità di scrivere correttamente o in modo attraente. Non ci si capacita, per esempio, come un laureato possa produrre racconti noiosissimi o manoscritti impubblicabili. Ancora una volta, per squalificare i laureati si accosta laurea alla letteratura, come se all'università insegnassero solo scrittura creativa.
A parte il fatto che la scrittura è tecnica, e la tecnica si impara con la pratica, conosco schiere di giornalisti che  hanno la cultura di una capra, la capacità analitica di un cavallo ma il ritmo e lo stile di Hemingway. La verità è che l'università resta idealmente un posto dove si cresce insieme, a contatto con le idee, con i libri e con tanti professori che diventano un punto di riferimento per giovani curiosi e spigliati. Ancora prima di immagazzinare nozioni e conoscenze, l'università insegna a pensare, ad analizzare, ad avere spirito critico, a vagliare la veridicità e l’affidabilità delle fonti. L'università non forgia prodigi dell'intelletto o futuri premi nobel; l'università offre uno strumento critico poter affrontare il mondo nella sua complessità e nelle sue contraddizioni. L'università non è un gioco a punti per vincere carta straccia: l'università è un'esperienza che va fatta al tempo giusto e che ti segna profondamente, e positivamente, per tutta la vita.
Non avere una laurea non è una colpa, sia ben chiaro, ma il non averla conseguita è un vero peccato per chi esercita una professione intellettuale, come quella di giornalista o di ministro. Altrimenti si finisce per pubblicare più facilmente delle bufale, dar credito a chi vende fumo o riformare un settore importante come l'università conoscendolo solo dal di fuori.
D'accordo, ci saranno giornalisti arguti e colti anche senza laurea, e ci saranno ministri saggi e capaci anche senza aver scalato le più alte vette dell'istruzione, ma, per favore, prima di affidarci alle eccezioni, proviamo a fare le cose normalmente.