sabato 14 gennaio 2017

The Computers al Vera di Groningen: note a margine

The Computers @ Vera (Groningen, Olanda - 16 ottobre 2016). Photo: © Giuseppe Raudino 2016
Mi ritrovo al Vera di Groningen con un amico. C'è poca gente. Decidiamo di aspettare nel bar del seminterrato a bere qualcosa. A un certo punto qualcuno si avvicina a noi e ci avverte che su, al main stage, il concerto è appena cominciato. Non è un buon segno: diciamo pure che lo show dei Computers, stasera, non ha attirato un gran numero di persone.

Il concerto al Vera appartiene al tour nordeuropeo di promozione dell'ultimo album, di cui dirò più avanti. La partecipazione di pubblico è un flop, accettiamolo, ma il locale è abbastanza piccolo per poter dare comunque una svolta positiva alla serata. Il frontman Alex Kershaw, però, non riesce a cogliere l'occasione, e si ostina a mettere in scena l'aria da duro, spaccando qualche pinta vuota, scaraventando il microfono sul pavimento, saltando, invitando all'emulazione. No, caro Alex, hai sbagliato di grosso. Meno gente c'è e più la devi prendere con calma. Se il locale è mezzo vuoto, tu devi metterti a sedere buono buono, proporre qualcosa di più orecchiabile e tranquillo, interagire più sapientemente col pubblico in sala. Guardaci: abbiamo al massimo una birra in mano, non c'è nessuno col laccio emostatico e le pupille dilatate. Per cui non serve saltare giù dal palco e avvolgere la gente col filo lunghissimo del tuo microfono - che, tra l'altro, non sei riuscito nemmeno a spaccare. E non serve nemmeno urlare la confessione meno eclatante della storia (che sei strafatto), perché tanto l'avevamo già capito. Non so, mi viene da pensare che la nuova maschera da duro che ti sei messo su, dopo lunghi anni di faccia sbarbata e pulita, non ti stia proprio benissimo. E nemmeno quei baffi sopra la barba incolta, che ti fanno tanto Anthony Kiedis, ti stanno benissimo. A pensarci bene, mi sebra che imiti molto il cantante dei Red Hot Chili Peppers: non di certo nella voce e nello stile vocale, ma nei movimenti e nel look. Ma lasciamo perdere, dai. La prossima volta andrà meglio.
Proprio quando metti insieme due pezzi a cui la gente sembra prestare più attenzione (This ain't right e C.R.U.E.L.) tu decidi di staccare tutto e andartene. Non lo so, a volte capitano delle serate no, ma questa volta si poteva proprio rimediare.
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The Computers: i ragazzi sono timidamente presenti sulla scena britannica dalla metà degli anni 2000, e si sono immessi nel circuito hardcore punk con discreto successo. Si formano a Exeter, una cittadina del Devon (Inghilterra), che non sarà famosissima ma che ha dato i natali a un discreto numero di artisti, come Rebecca Worthley, Beth Gibbons, Tony Burrows e Chris Martin (il cantante dei Coldplay).
Tornando ai The Computers, dopo una marcata variazione della lineup, bisognerà attendere fino al 2011 per l'uscita dell'omonimo album, ma quello che li farà apprezzare di più al pubblico esce nel 2013 e si intitola Love Triangles, Hate Squares. Appartiene a questo album, infatti, l'orecchiabilissima canzone C.R.U.E.L., il cui video è stato girato a Parigi e presenta una fotografia di tutto rispetto per i gusti più commerciali.


Nel 2016, a seguito di vicende particolarmente dolorose per il cantante Alex Kershaw, i The Computers pubblicano Birth/Death, che è un lavoro più riflessivo e tocca dei temi particolarmente impegnativi, come ci suggerisce il titolo stesso. Al look più casual e alle pettinature impomatate e retrò si sostituiscono giacche in pelle e tatuaggi in evidenza.
Altre foto del concerto si trovano qui.




Lo sguardo sul personaggio (alla scuola Holden)

Foto tratta da www.scuolaholden.it
Sto per concludere un corso di scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Sì, proprio quella: la mitica scuola Holden fondata da Alessandro Baricco.

Il corso è incentrato sulla creazione del personaggio e il docente è Paolo di Paolo.

In un post precedente avevo accennato alla voce della narrazione. Chi racconta una storia (o chi la analizza) deve avere ben presente chi sia il narratore, se si ponga allo stesso livello narrativo dei personaggi e della storia (intradiegetico/extradiegetico) e se partecipi attivamente alle vicende narrate (omodiegetico/eterodiegetico). Il corso sul personaggio mi ha fatto riflettere su un altro aspetto a cui non avevo mai fatto caso: lo sguardo.

Se il narratore di una storia è la voce della storia stessa, lo sguardo ne è il colore e la temperatura. Lo sguardo non è mai neutrale e non coincide con la prospettiva, ma è semplicemente un pezzo di racconto visto con occhi diversi da quelli di chi scrive. Una specie di filtro, insomma. Lo sguardo, nella narrazione, può guardare, contemplare, invidiare; è molteplice, può adattarsi a più prospettive; è esterno, ma si lega alla visione che un determinato personaggio ha di sé; può moltiplicarsi fino a coincidere con quello di una folla, ma anche a livello collettivo ha una visione specifica sull'esistenza del personaggio.

Lo sguardo è fluido, multiforme, cangiante. Giudica, apprezza, crititca. Si distacca dalla voce, da quello che pensa la voce narrante, oppure coincide con essa, ma temporaneamente. Fa sì che un personaggio sia presentato in maniera dinamica, con tutti i chiaroscuri e le possibili contraddizioni, facendolo risaltare e uscire fuori dalla univocità, dalla noiosa bidimensionalità.

Alla scuola Holden mi hanno chiesto di scrivere un racconto tenendo presenti tutti i consigli e gli accorgimenti affrontati nella parte teorica. Il primo vero esercizio era stato quello di scrivere l'inizio di una storia. Ne parlerò in uno dei miei prossimi post.


lunedì 9 gennaio 2017

La voce nella narrazione


Gérard Genette (Par Pierrelucverville — Travail personne)
La prima cosa da domandarsi per analizzare o scrivere un racconto è: chi sta parlando? Chi sta raccontando questa storia?

Le categorie classiche sono la prima e la terza persona, ma come vedremo non bastano affatto. Un racconto in prima persona afferma il punto di vista di chi scrive: io racconto, io ho visto, mi è successo, ho incontrato, ho salutato, eccetera. La terza persona è più distaccata, e adotta il punto di vista di un personaggio che non coincide con chi racconta la storia: Giovanni esce di casa, Giovanni ha visto, a Giovanni è successo questo, Giovanni ha incontrato e salutato qualcuno.

La prima persona, dicevamo, è più coinvolta; la terza persona, più distaccata.
La prima persona sa di autobiografia; la terza persona sa di biografia del personaggio in questione.
La prima persona partecipa agli eventi; la terza persona li racconta da una distanza.

Come prima classificazione, non è male, ma per essere più precisi la semiotica, la narratologia e le teorie dell'enunciazione distinguerebbero tra più casi. Per esempio, vale la pena soffermarsi su quello che teorizza Genette, sempre partendo dal ruolo che copre il narratore .

La prima distinzione avviene a livello narrativo.
Il narratore è dentro la storia e allo stesso livello della narrazione o no? In questo caso distinguiamo rispettivamente tra narratore intradiegetico ed extradiegetico.

La seconda distinzione investiga il rapporto tra narratore e storia.
Il narratore partecipa alla storia o no? Partecipa agli eventi narrati o si limita a raccontarli? Ecco che possiamo identificare il narratore omodiegetico e quello eterodiegetico.

Incrociando queste due categorie, sono possibili quattro casi (interessante, a questo proposito, la scheda di Giovanna Cosenza).

Alla voce della narrazione possiamo far seguire una rifessione sullo sguardo della narrazione.