mercoledì 22 febbraio 2017

Baricco ci racconta la sua “City” (recensione)



Protagonisti dal genio incompreso o dall’estro sfuggente potremmo definire i due simpatici personaggi principali di City, l’ultimo* romanzo (edito da Mondadori) di Alessandro Baricco.
Shatzy Shell è una ragazza che si dà da fare per sbarcare il lunario con lavoretti saltuari da telefonista, baby sitter e infermiera: il suo pallino è creare un film western, e tra una pausa e l’altra non mancano le occasioni in cui annota sul nastro magnetico di una musicassetta le illuminazioni improvvise che le balenano per la testa; spesso, poi, si diverte a dipanare l’intreccio dell’affascinante trama raccontando agli amici le vicende dei suoi eroi.
Gould, invece, è un ragazzino di tredici anni laureato in fisica. Ha per amici due tipi molto strani, un gigante e un muto, entrambi partoriti dalla sua fantasia, che gli tengono compagnia e non lo lasciano un momento solo. È in lui una malinconica ricerca di voler assomigliare a qualsiasi comune ragazzino della sua età anziché fare il ricercatore universitario, e gli sprazzi della sua potente immaginazione lo inducono a inventarsi la storia di Larry, un pugile che conquista il titolo mondiale.
Shatzy e il piccolo Could non hanno nulla in comune, eccetto l’uso sfrenato della vena affabulatoria e la solitudine: lei costruisce un western, lui un vaneggia di jab e montanti; lei non riesce a trovare una persona che la comprenda fino in fondo, lui non trova un coetaneo che gli sia veramente amico.
L’intero romanzo procede per gradi, sviluppando diverse storie e seguendo svariate tracce. Il punto di contatto tra di esse (come, del resto, anche il punto saliente che svela il senso di tutto il libro) lo si ritrova solo nelle ultime battute, in pieno stile di Baricco, autore abile e scaltro nel “prepararsi il terreno” con piacevole scorrevolezza per tante e tante pagine e sferrare il colpo finale quando il lettore meno se l’aspetta. Ecco allora aprirsi un varco tra le numerose piste: e, come una freccia, l’astuzia del narratore trapassa una a una tutte le vicende che sembravano nell’apparenza slegate, unendole insieme nello stupore generale.
Il contesto metropolitano, cui si rende omaggio nel titolo dell’opera, risulta frammentato e composto di schegge autonome e totalmente distaccate le une dalle altre: alla malinconia e alla voglia di evadere dalla realtà, dunque, aleggia in tutto il romanzo una triste impotenza di fronte all’incomunicabilità dei propri pensieri.
City è un libro consigliato a coloro i quali credono che attraverso l’ironia, e alcune volte anche attraverso pensieri ai limiti del surreale, possano esprimersi serie e agghiaccianti verità.
(*recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)

lunedì 20 febbraio 2017

Donne e metafore celesti (recensione)



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Lucía Etxebarría racconta il tormentoso passaggio dalla giovinezza all’età adulta nel suo romanzo Beatriz e i corpi celesti (Guanda Editore). Dietro questa definizione generica di crescita e di cammino verso la maturità si celano i numerosi quesiti che Bea, la protagonista, si pone, e che cerca di risolvere attraverso le più svariate esperienze: frequentazioni pericolose, talora ambigue, in una Madrid pullulante di vita notturna, di locali affollati  e di droghe; successivamente, quattro anni all’università di Edimburgo, tutti trascorsi piuttosto umbratilmente, condividendo un appartamento con Cat, la bella amica dallo sguardo felino, ma senza mai distogliere i pensieri dal più grande amore della sua vita, Mónica, “abbandonata” nella capitale spagnola…
Come in ogni viaggio che si rispetti, Bea si allontana dalla propria terra natia, acquisisce esperienze e competenze altrove, riflette sui dubbi che la tormentano e infine torna a casa, per la sanzione – positiva o negativa che sia. La presenza di Mónica, il cui sfuggente rapporto è narrato attraverso l’uso di abbondanti analessi, la inibisce in ogni altra relazione interpersonale: Mónica è una stella che riesce ad oscurare la luce di tutte le altre presenti nel firmamento. Da qui deriva anche il titolo, che prelude all’originale maniera di analizzare le interazioni umane e i sentimenti con delle metafore astronomiche: l’orbita cimitero (ovvero la stasi di una rivoluzione in cui ciascun istante è identico a quello precedente e a quello successivo), oppure la luce di una stella morta (quando ci inganna l’antico riflesso di una persona che non è più la stessa, a similitudine di una stella spenta da centinaia di anni ma la cui luce continua a raggiungerci sulla terra).
In Beatriz e i corpi celesti l’autrice non si esime dal ricorrere a espressioni crude, sebbene esse siano alternate a momenti fluidi e, oltretutto, piacevolmente pregni di filosofia: l’animo femminile viene rivelato nella sua più oscura e affascinante consistenza, ci lascia sognare e, di tanto in tanto, ci riporta alla spietata realtà con bruschi impatti.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)

La lettera d'amore (recensione)



La lettera d'amoreUna lettera trovata per caso, firmata con uno pseudonimo, scritta a macchina. Una lettera d'amore, spuntata come un "fungo velenoso in mezzo al giardino della sua posta". Una lettera accattivante, misteriosa, incredibile. Una lettera senza un mittente e senza destinatario, tanto da potersi considerare universale. Helen dà la caccia all'autore di quella lettera, che sarà il principale motivo di amabili fraintendimenti e di assurde coincidenze.
Nel suo romanzo, intitolato per l'appunto La lettera d'amore (edito da Adelphi), Cathleen Schine riversa una serie di comici equivoci e di brucianti amori repentini. La civetteria della protagonista sarà esasperata con la presenza di Johnny, una sorta di adone che riesce a colpire il cuore della sua datrice di lavoro.
Il romanzo è ambientato in una cittadina statunitense sul mare, in piena estate, e la maggior parte dei fatti si svolge nella libreria dell'affascinante Helen. La misteriosa lettera incombe sulle loro teste, e surrettiziamente intrica i loro desideri e le loro passioni, attraendoli senza tregua: nonostante la giovane età del ragazzo, la donna intraprende un rapporto di inaudita malinconia e di incontenibile gioia, rispettivamente a causa della consapevolezza che non può esserci un futuro in comune e che il presente è perfetto e incantevole. Il momento, dunque, è unico e assai probabilmente anche irripetibile: non un solo istante va sprecato.
Alla fine il lettore scoprirà chi era l'insospettabile autore della fatidica lettera che indirettamente ha fatto innamorare il ragazzo e la donna, e, tra malinconici rimpianti e favolosi ricordi, apprezzerà perfino un ineluttabile distacco che brucia nelle ultime pagine.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)