domenica 27 maggio 2018

Quadri - racconto tratto da Direzione Inversa (recensione)

Direzione Inversa
Nel racconto intitolato “Quadri” (tratto dalla raccolta Direzione Inversa, edizioni Il Seme Bianco 2017) Letizia Dimartino dà prova di una poderosa capacità di descrizione mantenendo costante per tutte le pagine un registro dalle forti connotazioni liriche. Si tratta di pennellate efficaci, di affreschi precisi e poetici che conferiscono pathos a una spazialità in continua sovrapposizione con sé stessa, una spazialità che torna a esplorare incessantemente gli stessi luoghi sebbene in tempi diversi: ora è Milano degli anni Sessanta, ora è Messina nel presente; e poi ancora la città dello Stretto vissuta nell’infanzia, nella maturità, nella giovinezza, a volte descrivendo il momento del congedo per raggiungere il Nord dalle brumose pianure, altre volte per farvi ritorno dopo un lungo viaggio in treno. La stessa Milano viene colta in diversi atteggiamenti, col cielo a strati, coi temporali, col “grigio densissimo di un autunno precoce” (p. 31), o magari attraverso il filo del telefono che congiunge l’amore di una madre per il figlio lontano. Qui e là appaiono anche altre città, (Roma, Capri, Catania, Modica, Taormina…) toccate di sfuggita in momenti piacevoli di vacanza o in momenti colorati dalla tristezza di una malattia. Si intuisce, insomma, che storia è colma di un amore per i luoghi abituali ma anche per quelli lontani, o meglio ancora “diversi”, in quanto la voce narrante si abbandona anche alla bellezza lirica di alcuni posti conosciuti solo attraverso il cinema e la letteratura: “Leggevo Cronin e avrei voluto vivere nel sud dell’Inghilterra. Leggevo Mann e sarei voluta vivere nel nord della Germania. [Avrei voluto] [e]ssere la Liv Ullman di Bergman e vivere in una livida Svezia. O più semplicemente in Romagna nella nebbia di Rimini inventata” (pp. 17-18). Accanto ai luoghi, c’è da dire che anche gli odori e le luci vengono meticolosamente registrati dalla penna di Letizia, che aggiunge alla memoria connotazioni sensoriali ben marcate, in un susseguirsi di latitudini diverse che hanno la propria peculiarità nei profumi dei dolci o nell’intensità del riverbero di certi raggi solari. L’io narrante confonde con sapienza i diversi strati del proprio passato, la cui complessità emerge appunto dalla giustapposizione e dalla sovrapposizione di questi “quadri” che attraversano il racconto. La storia si presenta, così, come un viaggio mentale che vaga nello spazio e nel tempo, in quell’immenso tempo incapsulato dai ricordi, proprio ora che l’ombra di una malattia costringe all’immobilità fisica. Eppure sorprende con piacevolezza lo slancio caparbio con cui questa immobilità, fattasi “eterno” presente per mezzo degli stessi ricordi, rivela perentoria la sua unica missione: mostrare vitalità nella sofferenza e mostrare una forza che non è destinata a svanire.
Giuseppe Raudino