È risaputo che la moderna scrittura deve adattarsi alle esigenze (spazio-temporali) degli attuali sistemi digitali, come i 140 caratteri di Twitter o le referenze su LinkedIn, ma ultimamente mi è capitato di sentire una critica al cosiddetto “sguardo da Facebook”. Secondo questa critica, sarebbero in molti a vivere tutti i momenti importanti della propria vita cercando di inquadrarli mentalmente all'interno di una combinazione di foto e testo da utilizzare all’istante sul famoso social network. Questa inquadratura, attualizzata con la videocamera dello smartphone e un messaggio per aggiornare il proprio stato su Facebook, distoglierebbe, secondo i più accaniti critici, dalle sensazioni che si stanno vivendo, limitando a una breve e superficiale “registrazione” di ciò che invece potrebbe essere sentito e interiorizzato più consapevolmente.
La cosa fa pensare alla vecchia battuta secondo cui gli americani non fanno le vacanze per godersele ma per filmarle.
Personalmente credo che vivere una qualunque situazione con in mente lo scopo più puro della comunicazione, ovvero quello della condivisione, non debba essere considerato come un problema. Ovviamente diventa patologico quando si vuole condividere con gli amici di Facebook ciò che accade tra le pareti del bagno o sotto le proprie lenzuola, oppure quando si ha una pagina aperta a tutti e i potenziali ladri possono apprendere che il nostro appartamento sarà deserto mentre spieghiamo con dovizia di particolari a che ora parte il nostro aereo per le Maldive, ma nella maggior parte dei casi lo ritengo un allenamento abbastanza piacevole e filosoficamente corroborante. Vivere o godersi un momento può essere estremamente soddisfacente per i sensi, ma altrettanto effimero, mentre vivere un momento per raccontarlo, e porsi la questione di cosa e come raccontare l’evento, sottende un’attività intellettuale di non poco conto. In più, l’attimo registrato, è in qualche modo riproducibile a testimonianza nostra (e a futura memoria) di qualcosa che si è provato in un determinato punto della nostra vita.
C’è poi un altro motivo per cui lo sguardo da Facebook andrebbe incoraggiato, e si chiama consapevolezza. Vedere qualcosa che accade e pensare a come raccontarla agli altri implica un grande spirito di interpretazione. Come i giornalisti, che filtrano ciò che vedono (quando fanno il loro dovere), ma che per filtrare devono capire ciò che hanno visto, ne devono avere piena consapevolezza, altrimenti sono costretti a usare un linguaggio astruso e oscuro.
Quel giorno in cui lo sguardo da Facebook, oltre alle facezie del mondo quotidiano, verrà applicato da tutti anche alla politica, allora ci sarà la vera democrazia.
Sarà anche per questo che, secondo Eurostat, in Olanda solo il 7% della popolazione non ha mai usato internet mentre in Italia arriviamo alla cifra assurda del 39%?