Foto tratta da www.scuolaholden.it |
Il corso è incentrato sulla creazione del personaggio e il docente è Paolo di Paolo.
In un post precedente avevo accennato alla voce della narrazione. Chi racconta una storia (o chi la analizza) deve avere ben presente chi sia il narratore, se si ponga allo stesso livello narrativo dei personaggi e della storia (intradiegetico/extradiegetico) e se partecipi attivamente alle vicende narrate (omodiegetico/eterodiegetico). Il corso sul personaggio mi ha fatto riflettere su un altro aspetto a cui non avevo mai fatto caso: lo sguardo.
Se il narratore di una storia è la voce della storia stessa, lo sguardo ne è il colore e la temperatura. Lo sguardo non è mai neutrale e non coincide con la prospettiva, ma è semplicemente un pezzo di racconto visto con occhi diversi da quelli di chi scrive. Una specie di filtro, insomma. Lo sguardo, nella narrazione, può guardare, contemplare, invidiare; è molteplice, può adattarsi a più prospettive; è esterno, ma si lega alla visione che un determinato personaggio ha di sé; può moltiplicarsi fino a coincidere con quello di una folla, ma anche a livello collettivo ha una visione specifica sull'esistenza del personaggio.
Lo sguardo è fluido, multiforme, cangiante. Giudica, apprezza, crititca. Si distacca dalla voce, da quello che pensa la voce narrante, oppure coincide con essa, ma temporaneamente. Fa sì che un personaggio sia presentato in maniera dinamica, con tutti i chiaroscuri e le possibili contraddizioni, facendolo risaltare e uscire fuori dalla univocità, dalla noiosa bidimensionalità.
Alla scuola Holden mi hanno chiesto di scrivere un racconto tenendo presenti tutti i consigli e gli accorgimenti affrontati nella parte teorica. Il primo vero esercizio era stato quello di scrivere l'inizio di una storia. Ne parlerò in uno dei miei prossimi post.