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sabato 14 gennaio 2017

Lo sguardo sul personaggio (alla scuola Holden)

Foto tratta da www.scuolaholden.it
Sto per concludere un corso di scrittura creativa alla Scuola Holden di Torino. Sì, proprio quella: la mitica scuola Holden fondata da Alessandro Baricco.

Il corso è incentrato sulla creazione del personaggio e il docente è Paolo di Paolo.

In un post precedente avevo accennato alla voce della narrazione. Chi racconta una storia (o chi la analizza) deve avere ben presente chi sia il narratore, se si ponga allo stesso livello narrativo dei personaggi e della storia (intradiegetico/extradiegetico) e se partecipi attivamente alle vicende narrate (omodiegetico/eterodiegetico). Il corso sul personaggio mi ha fatto riflettere su un altro aspetto a cui non avevo mai fatto caso: lo sguardo.

Se il narratore di una storia è la voce della storia stessa, lo sguardo ne è il colore e la temperatura. Lo sguardo non è mai neutrale e non coincide con la prospettiva, ma è semplicemente un pezzo di racconto visto con occhi diversi da quelli di chi scrive. Una specie di filtro, insomma. Lo sguardo, nella narrazione, può guardare, contemplare, invidiare; è molteplice, può adattarsi a più prospettive; è esterno, ma si lega alla visione che un determinato personaggio ha di sé; può moltiplicarsi fino a coincidere con quello di una folla, ma anche a livello collettivo ha una visione specifica sull'esistenza del personaggio.

Lo sguardo è fluido, multiforme, cangiante. Giudica, apprezza, crititca. Si distacca dalla voce, da quello che pensa la voce narrante, oppure coincide con essa, ma temporaneamente. Fa sì che un personaggio sia presentato in maniera dinamica, con tutti i chiaroscuri e le possibili contraddizioni, facendolo risaltare e uscire fuori dalla univocità, dalla noiosa bidimensionalità.

Alla scuola Holden mi hanno chiesto di scrivere un racconto tenendo presenti tutti i consigli e gli accorgimenti affrontati nella parte teorica. Il primo vero esercizio era stato quello di scrivere l'inizio di una storia. Ne parlerò in uno dei miei prossimi post.


lunedì 9 gennaio 2017

La voce nella narrazione


Gérard Genette (Par Pierrelucverville — Travail personne)
La prima cosa da domandarsi per analizzare o scrivere un racconto è: chi sta parlando? Chi sta raccontando questa storia?

Le categorie classiche sono la prima e la terza persona, ma come vedremo non bastano affatto. Un racconto in prima persona afferma il punto di vista di chi scrive: io racconto, io ho visto, mi è successo, ho incontrato, ho salutato, eccetera. La terza persona è più distaccata, e adotta il punto di vista di un personaggio che non coincide con chi racconta la storia: Giovanni esce di casa, Giovanni ha visto, a Giovanni è successo questo, Giovanni ha incontrato e salutato qualcuno.

La prima persona, dicevamo, è più coinvolta; la terza persona, più distaccata.
La prima persona sa di autobiografia; la terza persona sa di biografia del personaggio in questione.
La prima persona partecipa agli eventi; la terza persona li racconta da una distanza.

Come prima classificazione, non è male, ma per essere più precisi la semiotica, la narratologia e le teorie dell'enunciazione distinguerebbero tra più casi. Per esempio, vale la pena soffermarsi su quello che teorizza Genette, sempre partendo dal ruolo che copre il narratore .

La prima distinzione avviene a livello narrativo.
Il narratore è dentro la storia e allo stesso livello della narrazione o no? In questo caso distinguiamo rispettivamente tra narratore intradiegetico ed extradiegetico.

La seconda distinzione investiga il rapporto tra narratore e storia.
Il narratore partecipa alla storia o no? Partecipa agli eventi narrati o si limita a raccontarli? Ecco che possiamo identificare il narratore omodiegetico e quello eterodiegetico.

Incrociando queste due categorie, sono possibili quattro casi (interessante, a questo proposito, la scheda di Giovanna Cosenza).

Alla voce della narrazione possiamo far seguire una rifessione sullo sguardo della narrazione.