Cosa c'entrano i
gesti con l'immortalità? E la variazione con i quadranti?
Milan Kundera ci
sorprende ancora una volta, e dà il titolo L'immortalità a un
romanzo (edito da Adelphi) che cuce le più apparentemente disparate idee sul
tempo, sui sentimenti e sulla vita, giocando insieme al lettore e guidandolo
nella ricostruzione di un denominatore comune. L'architettura dell'opera è di
altissimo ingegno, e la l'incipit della storia adduce come pretesto il movimento
del braccio di una donna mentre è intenta a salutare una persona: quel gesto,
morbido e spontaneo, civettuolo e inconsapevole, ricorda terribilmente un altro
gesto al quale il protagonista aveva assistito parecchi decenni addietro,
mentre una ragazza si congedava da lui. L'io narrante perviene a una
conclusione: sebbene noi pensiamo di essere i padroni dei nostri gesti, la
verità è l'esatto contrario: sono gli uomini che appartengono ad essi. In senso
più lato, l'umanità si rinnova in continuazione ma qualcosa resta invariato,
incorruttibile, immortale. Gesti, situazioni e sentimenti si ripetono come
nell'ipotesi nicciana dell'eterno ritorno. L'uomo, così, vive la propria
esistenza come la variazione del medesimo tema inserita all'interno di un quadrante, dove misteriose lancette astrali ne
combinano gli alti e bassi dell'umore e della fortuna, della gioia e del
dolore.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)