Diciamocelo pure:
gli insegnanti sono costretti a leggere un’enorme quantità di pagine scritte
dagli studenti, e non sempre il contenuto è piacevolissimo.
Quando studiavo
all’università ho dovuto scrivere innumerevoli tesine (o paper, come venivano chiamati per darsi un tono più interessante e
scientifico) riguardanti materie che spaziavano dal primo al quinto anno; ho
dovuto frequentare, poi, un paio di laboratori di scrittura, tra cui quella
giornalistica, e infine ho scritto una tesi di oltre centocinquanta pagine. Più
tardi ho scoperto che i paper non
erano una pratica comune nel mondo accademico italiano. A quanto pare erano i
miei professori illuminati dal contatto con realtà internazionali che ci
allenavano alla scrittura con quello stratagemma del lavoro extra (sì perché
gli esami, sia orali che scritti, si dovevano fare comunque).
Non so come
vadano adesso le cose in Italia, ma presumo che siano peggiorate, perché le
facoltà sono sempre più affollate, il personale docente si tiene al minimo e
sembra impossibile leggere migliaia di tesine tra la fine delle lezioni e i
primi appelli d’esame. In più, per la laurea di primo livello non è più
richiesta quella consistente lunghezza che Umberto Eco stimava tra le 100 e le
400 pagine nel suo saggio Come si fa una tesi di laurea.
In Olanda devo
leggere settimanalmente una quantità di papers,
essays, reports, e theses che da
soli basterebbero ad alterare il tasso alcolemico di un elefante. Gli studenti
riflettono producono, scrivono (purtroppo non sempre in quest’ordine) senza
sosta e sono insaziabili: vogliono sapere cosa ne pensi, come possono
migliorare, come si può intavolare una discussione su quello che hanno scritto.
Gli effetti variano tra il narcotizzante all’alterazione psicofisica simile a
quella causata dai cannabinoidi.
Ad ogni modo, sarà
davvero pesante per i professori, eppure esercitare la scrittura con regolarità
è l’unico modo per raggiungere una perfetta padronanza della lingua scritta,
che è poi ciò che fa la differenza in molti lavori, soprattutto nel campo della
comunicazione.
Impossibile
produrre un testo (di qualuque genere) senza una pratica costante.
Scrivere,
scrivere, scrivere... senza moderazione. Questa è la via da seguire
all’università per futuri laureati pronti a competere adeguatamente. La povera
controparte dovrà dunque leggere, leggere e leggere senza sosta. Si perdonerà,
dunque, se alcuni docenti hanno sviluppano una capacità di “lettura automatica”
per preservare la propria vista e non essere costretti cambiare gli occhiali da
lettura due volte l’anno. Questa capacità consiste nello scorrere il testo con
lo sguardo a caccia di parole chiave che, una volta stanate, fanno
inconsciamente soffermare sulla frase che le contiene per una frazione
infinitesimale di secondo. Maggiore l’esperienza, maggiore la velocità con cui
si trovano queste parole chiave.
Di solito il
professore la fa sempre franca con lo studente anche se si tratta di discutere
a fondo un testo “scansionato” in siffatto modo. Esiste, tuttavia, un modo per
verificare se tale lettura sia stata applicata o meno: basta inserire una
ricetta da cucina nella tesina e confonderla tra paragrafi di sociologia e
riflessioni sulla letteratura scientifica. Di solito, trecento grammi di farina
non sono degni di diventare una parola chiave.
Di una cosa,
però, vorrei avvisare lo studente: che non pensi che sia uno solo il professore
a praticare questo tipo di lettura, visto che c’è chi giura di aver inserito la
stessa ricetta per anni in tutte le tesine senza essere mai stato accusato di
monotonia e ripetitività.