sabato 7 ottobre 2017

I trogloditi della rete



Quando, sul finire degli anni trenta, una radio americana mandò in onda il racconto di un’invasione aliena utilizzando lo stile tipico del giornalismo, molti abitanti di New York abbandonarono i loro appartamenti e si diedero alla fuga, creando caos per le strade. La radio, come mezzo di comunicazione di massa, era relativamente nuova e gli ascoltatori non erano abituati a distinguere la fiction dalle news, la fantasia dai fatti reali.
Titolo centrale: Radioascoltatori nel panico, prendendo sul serio un sceneggiato di guerra - In molti abbandonano le case per sfuggire a un "attacco col gas proveniente da Marte" - Le telefonate sommergono la polizia...
Oggi gli ascoltatori radiotelevisivi sono così smaliziati che sarebbe assurdo pensare di dover fare precedere ad ogni puntata di House of Cards un messaggio che li avvertisse che Frank Underwood non è il vero presidente degli Stati Uniti, o che non esiste alcun commissario di nome Montalbano a Vigata (ammettendo per assurdo che Vigata esista davvero). Diciamo che il codice televisivo, inteso come insieme di norme, regole e consuetudini riguardanti ciò che viene trasmesso, è stato introiettato dal pubblico, a prescindere dal profilo sociodemografico e dal livello di istruzione dei singoli individui. Oggi chiunque – a parte rare e gravi carenze cerebrali – è allenato a distinguere in televisione una soap opera da un telegiornale, e questo perché sono trascorsi numerosi decenni di familiarizzazione col mezzo.
Al contrario, le cronache degli ultimi tempi fanno invece pensare che la familiarità del grande pubblico con i social media sia ancora agli albori. Non intendo ovviamente la diffusione dei social, che ha raggiunto la quasi totalità della popolazione (sono in pochi a non avere Facebook in tasca, nel proprio smartphone), quanto piuttosto la comprensione del codice che li regola e, in particolare, l’attribuzione del grado di attendibilità di un messaggio che si diffonde attraverso i social network.
Cosa è opportuno fare quando si interagisce attraverso i social? Cosa ci si aspetta e quali conseguenze può avere un messaggio ricevuto, inviato o condiviso? Bisogna fuggire di casa se si vedono gli alieni sullo schermo? Ma soprattutto, quali filtri vengono a porsi tra una notizia fondata e il resoconto che ci raggiunge?
Queste banalissime domande non trovano risposte condivise. Se esiste la necessità a livello accademico di studiare le cosiddette fake news come fenomeno sociale, e se esistono diversi esempi di rabbia e razzismo che esplodono in modo virale con frequenza quotidiana, come minimo ci si può aspettare che la maturazione, da parte del pubblico, impiegherà ancora molto tempo. E un giorno lontano, gli studiosi, guardando alle interazioni online di questi anni, si domanderanno: ma come facevano quei trogloditi digitali a insultarsi apertamente tra di loro, a mostrare spudoratamente il proprio lato razzista senza nemmeno preoccuparsi della propria reputazione e a credere alle tante stupidaggini che circolavano vorticosamente in rete, dalle pseudo-scienze alla medicina fai-da-te?