Lucía Etxebarría racconta il tormentoso
passaggio dalla giovinezza all’età adulta nel suo romanzo Beatriz e i corpi celesti (Guanda Editore). Dietro questa definizione generica di crescita e di
cammino verso la maturità si celano i numerosi quesiti che Bea, la
protagonista, si pone, e che cerca di risolvere attraverso le più svariate
esperienze: frequentazioni pericolose, talora ambigue, in una Madrid pullulante
di vita notturna, di locali affollati e
di droghe; successivamente, quattro anni all’università di Edimburgo, tutti
trascorsi piuttosto umbratilmente, condividendo un appartamento con Cat, la
bella amica dallo sguardo felino, ma senza mai distogliere i pensieri dal più
grande amore della sua vita, Mónica, “abbandonata” nella capitale spagnola…
Come in ogni
viaggio che si rispetti, Bea si allontana dalla propria terra natia, acquisisce
esperienze e competenze altrove, riflette sui dubbi che la tormentano e infine
torna a casa, per la sanzione – positiva o negativa che sia. La presenza di
Mónica, il cui sfuggente rapporto è narrato attraverso l’uso di abbondanti
analessi, la inibisce in ogni altra relazione interpersonale: Mónica è una
stella che riesce ad oscurare la luce di tutte le altre presenti nel
firmamento. Da qui deriva anche il titolo, che prelude all’originale maniera di
analizzare le interazioni umane e i sentimenti con delle metafore astronomiche: l’orbita cimitero (ovvero la stasi di
una rivoluzione in cui ciascun istante è identico a quello precedente e a
quello successivo), oppure la luce di una
stella morta (quando ci inganna l’antico riflesso di una persona che non è
più la stessa, a similitudine di una stella spenta da centinaia di anni ma la
cui luce continua a raggiungerci sulla terra).
In Beatriz e i
corpi celesti l’autrice non si esime dal ricorrere a espressioni crude,
sebbene esse siano alternate a momenti fluidi e, oltretutto, piacevolmente pregni di filosofia: l’animo femminile viene rivelato nella sua più oscura e
affascinante consistenza, ci lascia sognare e, di tanto in tanto, ci
riporta alla spietata realtà con bruschi impatti.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)