lunedì 20 febbraio 2017

Donne e metafore celesti (recensione)



http://amzn.to/2lmAGEw
Lucía Etxebarría racconta il tormentoso passaggio dalla giovinezza all’età adulta nel suo romanzo Beatriz e i corpi celesti (Guanda Editore). Dietro questa definizione generica di crescita e di cammino verso la maturità si celano i numerosi quesiti che Bea, la protagonista, si pone, e che cerca di risolvere attraverso le più svariate esperienze: frequentazioni pericolose, talora ambigue, in una Madrid pullulante di vita notturna, di locali affollati  e di droghe; successivamente, quattro anni all’università di Edimburgo, tutti trascorsi piuttosto umbratilmente, condividendo un appartamento con Cat, la bella amica dallo sguardo felino, ma senza mai distogliere i pensieri dal più grande amore della sua vita, Mónica, “abbandonata” nella capitale spagnola…
Come in ogni viaggio che si rispetti, Bea si allontana dalla propria terra natia, acquisisce esperienze e competenze altrove, riflette sui dubbi che la tormentano e infine torna a casa, per la sanzione – positiva o negativa che sia. La presenza di Mónica, il cui sfuggente rapporto è narrato attraverso l’uso di abbondanti analessi, la inibisce in ogni altra relazione interpersonale: Mónica è una stella che riesce ad oscurare la luce di tutte le altre presenti nel firmamento. Da qui deriva anche il titolo, che prelude all’originale maniera di analizzare le interazioni umane e i sentimenti con delle metafore astronomiche: l’orbita cimitero (ovvero la stasi di una rivoluzione in cui ciascun istante è identico a quello precedente e a quello successivo), oppure la luce di una stella morta (quando ci inganna l’antico riflesso di una persona che non è più la stessa, a similitudine di una stella spenta da centinaia di anni ma la cui luce continua a raggiungerci sulla terra).
In Beatriz e i corpi celesti l’autrice non si esime dal ricorrere a espressioni crude, sebbene esse siano alternate a momenti fluidi e, oltretutto, piacevolmente pregni di filosofia: l’animo femminile viene rivelato nella sua più oscura e affascinante consistenza, ci lascia sognare e, di tanto in tanto, ci riporta alla spietata realtà con bruschi impatti.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)