venerdì 17 marzo 2017

La serialità e il fascino di Montalbano

Siamo sinceri: le storie di Montalbano non reggono. Almeno per la logica di certi passaggi. Un intero
Luca Zingaretti e Valentina Lodovini
libro (o un’intera puntata) per scoprire che poi l’assassino era il figlio. Nella realtà, basta un esame veloce per rilevare tracce di polvere da sparo sulla pelle e sui vestiti di un sospettato, anche a distanza di molti giorni dopo aver premuto il grilletto, per cui il caso sarebbe chiuso tre minuti dopo la sigla d’inizio. La realtà raccontata in Montalbano non è, per così dire, verosimile. Almeno da un punto di vista del genere poliziesco. Eppure le storie di Montalbano sono piacevoli, e lo share degli ascolti televisivi lo conferma, visto che può competere con una partita della nazionale o con un’edizione fortunata di Sanremo.
Ma cosa rende esattamente Montalbano così seguito? Vediamo analizzare uno dei tanti possibili aspetti del successo e declinarlo in tutte le variazioni: la serialità.

Serialità

Montalbano è seriale. In inglese esistono due parole per indicare due sfumature diverse di questo concetto: serials e series. I serials sono caratterizzati da una trama che si sviluppa attraverso più puntate, nelle quali quasi sempre gli stessi personaggi vengono impiegati, e dove le comparse sono ridotte. Le series, invece, sono i cosiddetti telefilm, dove la storia si sviluppa e si conclude nell’intero arco di un solo episodio, e dove pochi personaggi chiave interagiscono con comparse sempre nuove. Entrambe le tipologie hanno in comune alcuni elementi che si ripetono e che mettono lo spettatore a proprio agio, in quanto generano delle aspettative che vengono puntualmente soddisfatte, come il carattere o la comicità di un personaggio, certe abitudini, certi luoghi, certe battute… il tutto contornato da oggetti ricorrenti e persino temi e trame narrative prevedibilissimi. Guardando Montalbano, possiamo dire che esso ha una natura fortemente caratterizzata delle series, anche se con qualche debole tendenza ai serials. Per esempio, in Montalbano è tipico del serial quando il commissario, insieme alla fidanzata Livia, si affeziona a un bambino nordafricano che poi tornerà da adolescente in un altro, tragico episodio; oppure le storie del donnaiolo vicecommissario Mimì, che a un certo punto si sposa e mette su famiglia, evolvendo per lo meno nel suo stato civile; o ancora, i segni di una vecchiaia incipiente – soprattutto nei romanzi – quando Montalbano si trova costretto a inforcare degli occhiali da presbite. Ma, a parte questi pochi elementi secondari tipici dei serials, la serialità di Montalbano resta confinata nelle series, con storie a sé stanti. Si tratta di una serialità altamente polarizzata e riconoscibile, tant’è che lo spettatore può stare anni senza guadare una puntata per poi scivolare agilmente e all’istante nel mondo del commissario.

Comicità serializzata

Montalbano fa ridere, così come sono divertenti molti personaggi che lo circondano. Guida una macchina scassata, sempre la stessa, va in escandescenze se l’ispettore Fazio lo precede nei ragionamenti, si rifiuta di portare con sé una pistola, è goffo con le donne e maldestro al volante, alza spesso la voce e ha un linguaggio colorito. In più deve dirigere un commissariato attorno al quale ruotano elementi a dir poco bizzarri: un centralinista dialettofono che storpia i nomi di chi chiama, un ispettore con l’ossessione per i dati anagrafici, un vice che è sempre distratto da avventure extraconiugali, un medico legale bizzoso e dedito al turpiloquio, un pubblico ministero pervertito che spiega tutti i delitti con la pista passionale e sessuale; un questore che rappresenta il ritratto del tipico superiore stronzo. Una gabbia di matti, insomma: l’habitat naturale di Montalbano è una vera e propria corte dei miracoli.

Sessualità serializzata

La svedese Isabel Sollman (nei panni di Ingrid) insieme a Luca Zingaretti
Zingaretti e Belén
Non manca una puntata in cui il commissario Montalbano non sia insidiato da una bella donna. Che sia la svedese Ingrid (altro luogo comune, tanto scontato quanto i suoi occhi azzurri e i suoi capelli biondi) o la bruna siciliana impersonata a turno da attrici avvenenti come Belén, la tentennante fedeltà di Salvo Montalbano alla fidanzata Livia è sempre messa a dura prova. Livia è dolce e lontana. Montalbano è tentato nei sensi da sempre più audaci ed emancipate donne che, fatta eccezione per la nordica Ingrid, stravolgono lo stereotipo della “femmina” siciliana morigerata e docile. La donna nei racconti di Montalbano è presentata spesso come oggetto sessuale, dagli abiti succinti e dalla bellezza primitiva e ferina, pronta a prendere l’iniziativa nel baciare inaspettatamente qualcuno e determinata a non tirarsi indietro quando l’erotismo sconfina nella promiscuità, nella leggerezza, o addirittura nella perversione. Non c’è molto spazio per la psicologia: la fisicità e la passione hanno il sopravvento, così come non sorprende che uno stereotipo della donna tanto maschilista e rassicurante determini il successo della serie.

Golosità serializzata

Montalbano, Pasquano e i dolci
Non c’è puntata che non mostri cannoli e cassate, arancini e frittura di pesce, spaghetti alle vongole e spaghetti al nero di seppia, pasta con le melanzane e triglia di scoglio, polpi e calamari, vini corposi di uve maturate al sud e whisky sorseggiati sulla verandina con vista mare. La cucina e la pasticceria siciliana hanno tanto da offrire, e Camilleri non si tira indietro. Gli spettatori, se non possono sentire sapore e profumi, nutrono almeno i propri occhi con immagini da food porn. Anche qui, l’appello alle pulsioni più ataviche è una chiave scontata al successo, specialmente se viene ripetuta con insistenza. E anche il caffè che prepara Adelina, in Sicilia, sembra essere di una bontà inaccessibile ai milanesi.

Pseudo-siciliano serializzato

Luca Zingaretti, attore romano di estremo talento, mette in scena un accento che ingannerebbe quasi tutti i siciliani. La cadenza è ottima, il linguaggio è sapientemente farcito di un “minchia” e un “babbiàmo” qua e là, che fanno tanto Sicilia. Il problema, però, è che la lingua in Montalbano non è il vero siciliano, ma il siciliano che i non siciliani si aspetterebbero di sentire in Sicilia. A furia di ripetere sempre le stesse parole, gli spettatori hanno imparato cosa sono i “cabasìsi” e quante volte possono essere rotti in una puntata.