martedì 28 marzo 2017

Una storia quasi solo d'amore (recensione)



Nino ha ventitré anni e una gran voglia di prendere in giro tutti quelli che si imbattono nel suo cammino. Ha l’aria scanzonata e irriverente, la battuta sempre pronta e un’innata capacità di stare al centro dell’attenzione, resa ancora più tagliente ed efficace da qualche lezione di recitazione. È un ragazzo che si atteggia a intellettuale per mascherare le proprie insicurezze, o forse per nascondere le proprie paure, e che irrimediabilmente finisce per svelare delle venature di goffaggine e immaturità. Eppure ha un cuore generoso e leale nei sentimenti, e questo lo rende simpatico a tutti.
Teresa è bellissima, sulla trentina, è molto seria e posata, responsabile, coi piedi per terra, anche se con la testa viaggia lontano per perdersi in sogni intimi e segreti.
Lui, insomma, si trova nel prolungamento dell’adolescenza, mentre lei è nella prima fase della piena maturità; lui scherza sempre e lei è riflessiva; lui è estroverso e chiacchierone, lei introversa e un po’ timida. Ecco, allora, che ci sono tutti gli ingredienti per una storia d’amore tanto impossibile quanto inevitabile.
A far scoccare la scintilla è un incontro casuale fuori, da un teatro. È un incontro che somiglia a un “arco elettrico che si accende fra le estremità di metalli giusti e li scalda”, ed è tanto fortuito da far pensare a un “minuscolo incidente della geografia e della storia, […] [perché] fra milioni di chilometri quadrati e di anni, [Nino e Teresa si ritrovano nel] lo stesso marciapiede, da questa parte dell’universo, un lunedì di fine ottobre, dodici minuti dopo le sette di sera.”
Teresa è la prima ragazza che mette in difficoltà la sicumera di Nino: il suo modo di abbordare le fanciulle con metodi collaudati e affidabili sembra scricchiolare. Teresa è diversa, perché gli fa fare cose diverse rispetto al copione standard delle sue relazioni acerbe di ventenne alle prime armi con l’altro sesso. Con Teresa comincia un viaggio, un viaggio che ha a che fare più con l’intuizione e la spiritualità.
A dire il vero, il viaggio è un tema ricorrente nel romanzo. Di Paolo lo presenta in diverse forme. Per esempio, il lavoro di Teresa presso un’agenzia dove pianifica lune di miele e gite per anziani, dove di tanto in tanto vende un biglietto del treno o verifica i prezzi di una compagnia aerea, ma dove spende la maggior parte del tempo a sognare di viaggiare guardando il grande planisfero che sta alle sue spalle. Teresa è fissa sulla propria sedia, non ha bisogno di viaggiare fisicamente perché ama farlo con la testa. L’unica eccezione a questa staticità avviene quando Teresa prenota un volo dall’oggi al domani per raggiungere qualcuno a cui teneva ma dal quale non si vede ricambiata. È uno dei suoi rarissimi colpi di testa che contravvengono alla sua pacatezza: un viaggio dettato dalla sua grande capacità e necessità di amare, un viaggio che, invece, le presenterà la realtà brutalmente, che le farà sentire il dolore fisico oltre che nell’animo.
C’è poi un viaggio ancora più doloroso, quello della malattia, che dà una scossa alla prospettiva da cui vedono il mondo (e forse anche se stessi) i protagonisti. È il viaggio di colei che narra la storia, e che guarda questa storia d’amore fin dalle prime battute lasciando che il lettore si interroghi sul finale.
Insieme al dolore, però, c’è soprattutto spazio per l’innalzamento, la redenzione, ovvero il viaggio inteso come elevazione spirituale di benedizione, di preghiera e di estasi. L’amore diventa pertanto visibile in un contesto mistico, nella metafora di una transverberazione, come nel capolavoro di Bernini che viene contemplato dalla coppia in una chiesa di Roma. È proprio lì, nell’intimo e nel silenzio di quel luogo sacro, alla vista della scultura dedicata alla santa di cui lei porta il nome, che i due si scambiano una specie di dichiarazione: “La vedi quella scritta in latino, lassù, tenuta in mano dalla piccola folla di angeli? Dice così: se non avessi creato il paradiso, lo farei anche ora solo per te. Sembra una dichiarazione d’amore, ha detto Nino. È una dichiarazione d’amore, ha detto Teresa.”
Infine, il viaggio come promessa. Se l’amore è vero, il viaggio deve essere intrapreso da tutti e due. Non può essere uno solo a partire: ci si deve spostare per forza insieme, quando si ama. E allora, scoprire se Teresa – così riluttante ai viaggi veri, così prudente e immobile - accetterà l’invito a partire con Nino, significherà anche scoprire se tra i due c’è stato, c’è e ci sarà vero amore.
Una storia quasi solo d’amore (Paolo di Paolo 2016, Feltrinelli, pp. 171) è un romanzo che racconta con delicatezza i sentimenti, le paure e le sfide dei nostri giovani. Il libro ha un ritmo piacevole, fatto di sezioni brevi e incalzanti. La scrittura è immediata, e risulta convincente e schietta proprio perché priva dei più rassicuranti filtri retorici. Nella sua immediatezza si nota anche la descrizione della società e delle relazioni umane, che si muovono con un meccanismo ben oleato sullo sfondo, e che vengono presentate con le loro credibili contraddizioni e le loro immancabili bellezze. Certamente le relazioni umane, prima di ogni cosa, arricchiscono questo romanzo, oltre a spiegare la parola “quasi” che è presente nel titolo.