sabato 11 marzo 2017

Trilogia sporca dell’Avana (recensione)



http://amzn.to/2m0mioJ
«Mi piace guardare questa mulatta nuda. È bellissima. Snella, aggraziata. Fintanto che dura è la felicità.»
In queste poche parole si coglie tutta la forza impiegata dallo scrittore cubano Pedro Juan Gutiérrez nella lotta contro la miseria e la caducità della vita, descritta nel romanzo Trilogia sporca dell’Avana. Una vita di stenti in un paese povero e contraddittorio, dove non resta che abbandonarsi al tragico destino, tentando di ingannarlo con un po’ di rum e con un amore fisico che solo all’interno di quella cultura può germogliare tanto schiettamente. Lo avevamo capito dalla solarità dei luoghi, dai resoconti e dai reportage di chi vi ha soggiornato, dai film  come “Buena vista social club” di Wim Wenders, dalla musica come quella degli Jarabe de Palo, ma adesso è più semplice averne conferma: Cuba è un’isola dai mille tesori e dai forti richiami primitivi; viverla fino in fondo significa tutto e il contrario di tutto.
Gutiérrez, sia nel vivere che nello scrivere, non sa ubbidire a nessuno. Nemmeno a se stesso: travolge il lettore raccontandogli arditamente le avventure, le fantasie, gli sbagli e l’ostinazione che lasciano intendere come, dalla condizione di giornalista affermato, si sia imbattuto nel più disarmante fallimento. Non gli resta più nulla da fare, e si convince che «non bisogna lavorare troppo, la vita è breve». Il protagonista non è più nessuno.
Ma proprio in questo sconforto e in questa inerzia attecchisce il seme della ribellione. E una speranza esplicita, folgorante, inaspettata ma autentica lo porta a credere che l’indolenza possa essere vinta insieme a tutti gli stenti: la forza sta nell’eterno reagire.
Il romanzo va letto tutto d’un fiato: la scabrosità e la durezza di certe scene, unite all’ironia e all’argutezza delle riflessioni, lasciano un retrogusto dal riflesso esotico e avvincente.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 il 2002)