venerdì 3 marzo 2017

Bastogne, esuberanza giovanile (recensione)



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C’è tutta la rabbia e l’esuberanza che potrebbe avere un giovane spigliato e annoiato dalla mondanità dei propri coetanei, nel romanzo Bastogne (Baldini&Castoldi) di Enrico Brizzi.
Ambientato a Nizza, il libro narra le perigliose vicende di quattro ragazzi che hanno a che fare un po’ con tutti, dagli ambienti radicalchic e vip a quelli degradati e trasandati che sconfinano nella droga e nella malavita. Non ci sono illusioni per i protagonisti: tutto è maledettamente crudo e reale, e non c’è nemmeno tempo da sprecare appresso alle moine e alle smancerie che desidererebbero ricevere le ragazze, ridotte alla stregua di animali da sesso da cui trarre appena dei piaceri fisici e superficiali.
Brizzi si inventa un mondo tutto suo, ribattezzando le cose con un gergo a metà strada tra il condiviso slang giovanile e le sue tanto inedite quanto azzeccate metafore. La bellezza dello stile e la freschezza delle immagini, infatti, sembrano prevalere persino sulla ricchezza della trama, e la scrittura è così creativa da potersi definire inimitabile. Naturalmente non debbono indignare le ardite espressioni e le parole coloritissime, né bisogna puntare il dito quando ci si imbatte nella lettura di particolari un po’ osé: la simpatica ironia adoperata dall’autore induce al perdono e accende l’entusiasmo del lettore più titubante, e lo induce a immergersi con incanto in quel mondo fantasioso dove le sigarette Marlboro sono chiamate “meravigliose” e il perineo di una bella ragazza finisce col diventare una “casetta di marzapane”.
Tra le doti dei protagonisti sono indubbiamente presenti l’intelligenza e la voglia di libertà, anche se il loro comportamento irriverente finisce talvolta con lo sfociare in azioni pericolose e violente, compromettendo la libertà altrui e beffandosi di coloro che non sono dotati della loro stessa intelligenza.
Parallelamente alle vicissitudini e alla movimentata quotidianità, il romanzo si tinge di tristezza nell’affrontare il dolente resoconto di un’amicizia tradita e, più tardi, nell’appurare la caduta di ciò che era ma che non sembrava essere un’illusione.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)