C’è tutta la rabbia
e l’esuberanza che potrebbe avere un giovane spigliato e annoiato dalla
mondanità dei propri coetanei, nel romanzo Bastogne (Baldini&Castoldi) di Enrico Brizzi.
Ambientato a Nizza,
il libro narra le perigliose vicende di quattro ragazzi che hanno a che fare un
po’ con tutti, dagli ambienti radicalchic e vip a quelli
degradati e trasandati che sconfinano nella droga e nella malavita. Non ci sono
illusioni per i protagonisti: tutto è maledettamente crudo e reale, e non c’è nemmeno tempo da sprecare appresso alle moine e alle smancerie che desidererebbero
ricevere le ragazze, ridotte alla stregua di animali da sesso da cui trarre
appena dei piaceri fisici e superficiali.
Brizzi si inventa un
mondo tutto suo, ribattezzando le cose con un gergo a metà strada tra il
condiviso slang giovanile e le sue tanto inedite quanto azzeccate metafore. La
bellezza dello stile e la freschezza delle immagini, infatti, sembrano
prevalere persino sulla ricchezza della trama, e la scrittura è così creativa
da potersi definire inimitabile. Naturalmente non debbono indignare le ardite
espressioni e le parole coloritissime, né bisogna puntare il dito quando ci si
imbatte nella lettura di particolari un po’ osé: la simpatica ironia adoperata
dall’autore induce al perdono e accende l’entusiasmo del lettore più titubante,
e lo induce a immergersi con incanto in quel mondo fantasioso dove le sigarette
Marlboro sono chiamate “meravigliose” e il perineo di una bella ragazza finisce
col diventare una “casetta di marzapane”.
Tra le doti dei
protagonisti sono indubbiamente presenti l’intelligenza e la voglia di libertà,
anche se il loro comportamento irriverente finisce talvolta con lo sfociare in
azioni pericolose e violente, compromettendo la libertà altrui e beffandosi di
coloro che non sono dotati della loro stessa intelligenza.
Parallelamente alle
vicissitudini e alla movimentata quotidianità, il romanzo si tinge di tristezza
nell’affrontare il dolente resoconto di un’amicizia tradita e, più tardi,
nell’appurare la caduta di ciò che era ma che non sembrava essere un’illusione.
(recensione apparsa su Primo tra il 2000 e il 2002)